Sintesi del testo di Robert Cull, Tilman Ehrbeck e Nina Holle pubblicato da CGAP (Consultative Group to Assist the Poor), un’organizzazione internazionale che promuove l’inclusione finanziaria dei poveri (Focus Note n°92, aprile 2014). A cura di Elisabetta Gasparoli. Con la locuzione “financial inclusion” ci si riferisce alla messa in campo di servizi finanziari a costi ridotti per gruppi sociali svantaggiati e con basso reddito. Il concetto di financial inclusion è divenuto prioritario negli ultimi anni; a partire dal G20 e sulla scia delle azioni intraprese dalla Banca Mondiale, più di 50 istituzioni di policy-making si sono impegnate ad avviare servizi finanziari accessibili a tutti, così da incrementare le occasioni di sviluppo, ridurre le vulnerabilità ai rischi e migliorare lo stile di vita dei più poveri. Le ricadute positive dell’inclusione finanziaria possono leggersi a diversi livelli ma interessano prioritariamente la grande percentuale di popolazione che può essere ricondotta all’ambito della “informal economy”, ossia quella parte di economia non tassata, non monitorata dai governi e non inclusa nel PIL nazionale. Circa il 50-60% della popolazione mondiale vive e lavora nella informal economy e, globalmente, circa la metà delle persone in età lavorativa è esclusa dai servizi offerti dagli istituti finanziari e di credito; in paesi come la Cambogia o il Niger, ad esempio, solo il 2-4% degli adulti ha un conto in banca. Senza accesso a tali servizi, le famiglie povere devono fare affidamento a vecchi sistemi informali di credito e risparmio: tenere i soldi in casa, chiedere prestiti su pegno, a parenti, ad amici, a usurai. Spesso, però, tali meccanismi sono inaffidabili e costosi, soprattutto perché non garantiscono quella stabilità economica sul medio-lungo periodo che permetterebbe di ridurre la vulnerabilità in caso di imprevisti (per malattia, calamità o altri inconvenienti di sorta), migliorare le condizioni generali di benessere (spesso legata anche alla qualità e alla quantità dei cibi acquistati) e, di conseguenza, aumentare le possibilità di una crescita nella posizione sociale; l’esclusione finanziaria, perciò tende a colpire coloro che hanno maggior bisogno di opportunità. Seppur gli studi esistenti in ambito di financial inclusion siano numerosi ed eterogenei, non c’è ancora una linea comune e condivisa in grado di stimare quali e quanti siano effettivamente gli impatti positivi ad essa associati, vista soprattutto la grande varietà di prodotti finanziari attivati a livello globale. Se è vero che in alcuni casi è stato rilevato che l’accesso al credito non sia sempre correlato direttamente al miglioramento di indicatori di lungo periodo (come educazione, sanità o incremento del potere femminile), è altrettanto vero che molti altre indagini hanno dimostrato come l’accesso al credito incida positivamente sui consumi e sulle spese familiari; il microcredito, infatti aiuta le famiglie a gestire i picchi di liquidità e mantenere i consumi costanti, consentendo anche una crescita nei consumi perché diminuisce il bisogno di risparmi di precauzione. Tra l’altro, alcune analisi hanno messo in luce che per le famiglie povere senza accesso a meccanismi di risparmio, è più difficile resistere alle tentazioni di spesa. Alcuni studi hanno anche dimostrato che i risultati migliori si hanno nel caso di una maggior flessibilità nelle modalità di credito; con un periodo di tempo superiore ai due mesi per la prima restituzione del prestito, è più probabile che il beneficiario del credito diversifichi l’inventario e investa su beni durevoli che possono garantire profitti anche nel medio periodo. Più il sistema di pagamento è flessibile, quindi, più gli individui sono portati ad affrontare e sostenere i rischi. Un altro strumento che può aiutare i più poveri a mitigare il rischio e gestire fluttuazioni impreviste nell’economia famigliare è rappresentato dalle assicurazioni. In Gana, ad esempio, si è verificato che contadini assicurati hanno comprato più fertilizzanti, coltivato più acri di terra e assunto più lavoratori di altri senza assicurazione; questo si è tradotto in entrate più elevate che hanno permesso di ridurre il numero di pasti e di giornate scolastiche perse per i bambini. Oltre che benefici a livello di micro-economia, l’inclusione finanziaria è positivamente correlata anche alla crescita e all’occupazione a livello macro, associati alla miglior distribuzione dei capitali, ad una maggior stabilità finanziaria e ai bassi costi di transizione. Un esempio in questo senso è l’esperienza Kenyota di M-Pesa, un servizio di trasferimento di denaro tra utenti del servizio di telefonia cellulare Safaricom che permette alle istituzioni di mircrofinanza di inviare e ricevere denaro dai prestatori. Il servizio, uno dei tanti esempi di “mobile money” attivati a livello mondiale, ha facilitato l’incremento della condivisione del rischio tra reti di amici e familiari oltre che ridotto i costi per l’impresa implementatrice e, più in generale, per il trasferimento di denaro per gli iscritti al programma. Diverse evidenze empiriche hanno inoltre dimostrato che il processo di inclusione finanziaria non solo riduce le ineguaglianze, ammorbidendo i limiti di liquidità delle persone povere, ma, grazie ai bassi costi ad esso correlati, favorisce anche altri benefici sociali, quali ricadute indirette associate ad una maggior capillarità nelle azioni di politica sociale perseguite dai governi. Molti organismi di policy si stanno impegnando a livello nazionale e globale per migliorare l’inclusione finanziaria. Numerosi studi dimostrano che mercati finanziari inclusivi ed efficienti hanno il potenziale per migliorare la vita dei cittadini, ridurre i costi di transazione, incitare l’attività economica e l’innovazione nel settore privato e favorire altri benefici sociali. Non resta, perciò, altro da fare che continuare ad alimentare questo bacino di speranza per i più poveri.